La riforma fiscale americana

Seppur con una manciata di voti a favore (51 a 49), il Senato americano ha approvato la riforma fiscale da 1.500 miliardi di dollari voluta dal presidente Trump. Il passaggio istituzionale prevede ora che la Camera dei Rappresentanti ed il Senato concordino un unico disegno di legge da sottoporre al presidente.

Fulcro della riforma (la maggiore degli ultimi 30 anni) è la riduzione della tassazione sulle imprese dal 35% al 20%. Anche i privati si vedranno rimodulare le aliquote fiscali che passano da 7 a 4: 12%, 25%, 35% e 39,6%. Questo taglio, valutato circa 1.500 miliardi di dollari in 10 anni, sarà finanziato da un aumento del debito pubblico con l’obiettivo di accelerare la crescita economica oltre il 3% annuo.

Credit Suisse ha stimato che, se la riforma venisse attuata dal prossimo anno, il consensus sugli utili per azione medi passerebbe da 146 a 180 dollari, un effetto non ancora totalmente scontato dal mercato. Da qui l’attesa per una continuazione del trend positivo da parte dell’azionario USA.

La riforma non è stata accolta molto favorevolmente in Europa se è vero che i 5 ministri delle Finanze di Italia, Germania, Francia, Spagna e Regno Unito hanno scritto le loro preoccupazioni al segretario di Stato americano al Tesoro, Steven Mnuchin. In particolare, desta preoccupazione la potenziale discriminazione delle società non degli Stati Uniti (peraltro ciò è in aperto contrasto con gli accordi in ambito WTO, l’organizzazione mondiale del commercio). Senza troppi giri di parole, l’accusa è quella di dumping per favorire export americano nei confronto di quello dei Paesi europei.

Vedremo se queste preoccupazioni avranno degli effetti sul processo di approvazione ancora in atto. Certamente lo slogan utilizzato da Trump in campagna elettorale, “America first”, non lascia spazio a molto ottimismo.

 

 

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